Replica del gelo siberiano, della neve come nel 2012. Tendenza meteo estrema

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Replica del gelo siberiano, della neve come nel 2012. Tendenza meteo estrema

Gelo: il nodo del 20 dicembre

20 Dicembre come data simbolica, quasi una porta socchiusa. La domanda che aleggia è semplice, ma pesante: si riaprirà davvero la porta del gelo siberiano verso l’Europa e, magari, anche verso l’Italia?

E prima ancora: da dove arrivava quel freddo estremo che ha segnato la Piccola Era Glaciale? Vale la pena chiederselo adesso, in piena epoca di Riscaldamento Globale, perché i conti – numeri alla mano – non tornano del tutto.

Il Pianeta oggi è mediamente circa 2°C più caldo rispetto a quel periodo, quindi all’incirca 3°C oltre i livelli della PEG. Eppure allora i ghiacciai avanzavano sulle nostre Alpi, l’Appennino centrale custodiva neve e ghiaccio per mesi, il Po e l’Arno gelavano spesso, il Tevere formava lastre di ghiaccio ai bordi nel suo corso tra alto Lazio e Umbria. Immagini che, viste da oggi, sembrano quasi appartenere a un altro Pianeta.

Il punto fermo c’è: il clima sta cambiando e porta temperature mediamente più elevate rispetto all’epoca pre-industriale. Di quanto, esattamente? Non è neppure così banale dirlo, perché ci sono fasi in cui superiamo stabilmente i 2°C sopra quel riferimento.

Qui, però, arriva il passaggio scomodo: il sistema climatico non “sale di grado” in modo lineare e ordinato. Vive di fluttuazioni, ha i suoi alti e bassi, oscillazioni che molti faticano persino a nominare per paura di “dare argomenti” ai negazionisti del cambiamento climatico.

E invece no: le fluttuazioni esistono. Sono reali, misurabili. E allora la domanda viene spontanea: è anche questo rimescolio naturale, intrecciato con il riscaldamento globale, ad aver “bloccato” per alcuni anni la porta del gelo siberiano verso l’Europa? Perché non serve un grande evento ogni inverno per farci assaggiare quell’aria tagliente che arriva da Est. Basta una configurazione giusta, ogni tanto.

 

Stratwarming, equivoci

Qui, diciamolo, un po’ di confusione l’abbiamo creata anche noi meteorologi e divulgatori. Spesso raccontiamo che un forte Stratwarming – cioè un intenso riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) – può deviare le correnti e favorire l’arrivo del gelo siberiano sull’Europa e sull’Italia. Ed è vero.

Quello che non sempre ripetiamo (limiti di spazio, ma anche di pazienza del lettore) è che il gelo siberiano può arrivare anche senza un SSW. Non è una condizione obbligatoria. È una delle strade possibili, non l’unica.

E allora torniamo alla domanda di fondo, quella che resta sul tavolo: perché durante la Piccola Era Glaciale faceva così freddo, così spesso, soprattutto in Europa?

 

Perché la Piccola Era Glaciale era così fredda

Gli studi non mancano, anzi. Molti chiamano in causa l’attività solare ridotta, le fasi di minimo, le macchie solari quasi assenti. Ma non esiste un unico colpevole, un interruttore da accendere e spegnere a piacere.

Un ruolo importante lo hanno avuto anche alcune grandi oscillazioni atmosferiche, gli indici che oggi seguiamo con attenzione quasi quotidiana: la North Atlantic Oscillation (NAO) e la Arctic Oscillation (AO), strettamente legate alla stabilità del Vortice Polare.

All’epoca, gli indizi puntano verso un Vortice Polare spesso debole, una NAO tendenzialmente negativa e una combinazione di fattori che favoriva discese di aria gelida verso l’Europa piuttosto che verso il Nord America.

La Piccola Era Glaciale, in altre parole, non fu un unico inverno infinito e sempre uguale, ma una lunga fase storica in cui gli episodi estremi di freddo erano più frequenti, più duraturi, più radicati nel tempo.

Quando l’Europa cade sotto l’influenza dell’aria siberiana, diventa letteralmente un congelatore a cielo aperto. E non per pochi giorni: a volte per mesi interi, con il freddo che si autoalimenta.

Negli ultimi decenni diverse ricerche hanno provato a capire perché questo schema – aria siberiana + blocchi duraturi – sembri comparire meno spesso sul nostro continente.

Scorrendo questi studi, infilando il naso tra numeri, grafici e ricostruzioni storiche, emerge una verità un po’ scomoda: siamo diventati quasi “negazionisti del rischio freddo estremo”. Ci concentriamo giustamente sulle mappe del caldo record e sull’aumento delle temperature, soprattutto in Europa, ma a volte sottovalutiamo quanto le fluttuazioni del clima possano esaltare anche l’altro estremo, quello del gelo profondo.

Non c’è alcuna prova che ogni singola anomalia sia esclusivamente e direttamente imputabile alle emissioni di gas serra, anche se il riscaldamento del Pianeta condiziona tutto il sistema e amplifica le variazioni, perfino quando parliamo di soli 0,5°C di scarto medio.

 

Anticiclone Siberiano: la macchina del freddo

Uno dei protagonisti assoluti del freddo estremo è l’Anticiclone Siberiano (Siberian High). Una gigantesca “cupola” di aria fredda e secca che si sviluppa tra Settembre e Aprile sulla parte nord-orientale dell’Eurasia, in genere centrata nei dintorni del lago Baikal.

Nel cuore dell’inverno, in quell’area, la temperatura dell’aria può spesso scendere sotto i -40°C, con pressione atmosferica che supera facilmente i 1040 hPa. Nei casi più estremi, il termometro precipita verso i -70°C mentre la pressione resta altissima. È una macchina del freddo impressionante, quasi spietata.

Gli studi più recenti hanno però evidenziato un indebolimento significativo dell’Anticiclone Siberiano: l’indice SHI mostra un trend negativo di circa -2,5 hPa per decennio tra il 1978 e il 2001, con valori insolitamente bassi rispetto alla serie storica che parte dal 1871. Un dettaglio che dettaglio non è affatto.

Un Anticiclone Siberiano più debole significa meno freddo che tracima verso ovest. E questo è uno dei fattori che contribuiscono ai nostri inverni più miti su gran parte dell’Asia continentale extra-tropicale e, per riflesso, anche su buona parte dell’Europa.

 

AO, NAO e il freddo che punta l’Europa

Le grandi oscillazioni atmosferiche, Arctic Oscillation (AO) e North Atlantic Oscillation (NAO), sono legate a doppio filo con le irruzioni di aria siberiana in Europa. Quando AO e NAO scivolano in fase negativa, il disegno sinottico cambia in modo evidente:

  • la pressione aumenta sull’Artico e diminuisce alle medie latitudini
  • il jet stream si abbassa verso l’equatore
  • le regioni di media latitudine hanno molte più probabilità di sperimentare ondate di freddo polare durante l’inverno

Un esempio concreto? L’inverno 2009-2010, con ben 63 giorni su 90 in condizioni di NAO negativa: la fase più estrema dal 1949. Risultato: Europa martellata da ondate di freddo intense e persistenti, con effetti su trasporti, energia, vita quotidiana.

Sono situazioni che nascono dalle normali oscillazioni del sistema atmosferico. Se durano giorni o settimane, le chiamiamo tempo estremo. Se si ripresentano con frequenza per decenni, iniziamo a parlare di cambiamento climatico.

Ma anche qui il passaggio non è automatico: non tutto è solo ed esclusivamente “colpa” delle emissioni, benché queste ormai influenzino in profondità l’intero assetto del clima terrestre.

 

Blocking atmosferici: quando il freddo resta incastrato

Un altro tassello fondamentale per capire il grande freddo europeo sono i blocking atmosferici. Con questo termine si indicano configurazioni di alta pressione che bloccano per giorni o settimane il normale scorrimento delle perturbazioni.

Gli inverni davvero freddi in Europa sono spesso associati a blocking sul Nord Atlantico settentrionale, sull’Europa continentale o sulla regione degli Urali. Quando un blocco si forma:

  • sul suo fianco orientale affluisce aria molto fredda, in genere dall’Artico o dalle vaste aree continentali della Russia
  • queste masse d’aria possono estendersi per migliaia di chilometri, raggiungendo il cuore dell’Europa e, a volte, anche l’Italia

Dettaglio non da poco: questi blocchi non nascono necessariamente a causa di uno Stratwarming. Il SSW può favorire certe configurazioni, smontare il Vortice Polare e rimescolare i flussi, ma non è l’unico regista della scena. A volte il copione si scrive da solo, a partire da piccole anomalie iniziali.

 

Ghiaccio artico, neve in Siberia e Vortice Polare

Il quadro si complica ancora un po’ – inevitabile, quando si parla di clima – quando entrano in gioco altri fattori chiave.

Il ghiaccio marino artico, per cominciare. La perdita di ghiaccio nel Mare di Barents-Kara ha effetti apparentemente paradossali: la fase di maggiore riduzione avviene tra tardo Autunno e inizio Inverno, ma gli effetti sulle oscillazioni come l’AO e sugli estremi alle medie latitudini si trascinano per tutto l’Inverno, anche a causa dei processi che coinvolgono la stratosfera.

Poi c’è la copertura nevosa in Siberia, un vero e proprio precursore del clima invernale europeo. Quando in Ottobre la neve si espande rapidamente, aumenta l’albedo (cioè la capacità del suolo di riflettere la radiazione solare), il terreno si raffredda e l’Anticiclone Siberiano tende a rafforzarsi.

Ogni volta che si accenna a questo tema molti appassionati meteo sorridono, altri storcono il naso. Il motivo, spesso, è semplice: in Italia la cultura meteorologica è ancora piuttosto limitata rispetto ad altri Paesi europei o al Nord America, dove studi di questo tipo vengono presi molto più sul serio.

Non dobbiamo essere tutti scienziati o meteorologi, certo, ma è utile sapere che esistono gruppi di ricerca che da anni monitorano proprio la neve in Siberia da Settembre in poi per stimare le potenzialità di un inverno freddo in Europa.

Infine, il Vortice Polare in stratosfera. Se il Vortice Polare rimane forte e compatto, il flusso occidentale domina, mantenendo l’Europa tendenzialmente più mite e umida. Se invece il vortice si indebolisce – o addirittura collassa in seguito a un riscaldamento stratosferico improvviso (SSW) – il risultato può essere una serie di irruzioni fredde importanti sul continente.

Detto ciò, non serve sempre un SSW per vedere arrivare correnti siberiane: a fine Settembre abbiamo già visto venti in discesa dalla Siberia verso l’Italia, con neve fino a 200 metri nei Balcani. Un assaggio precoce di ciò che quel serbatoio di freddo è ancora perfettamente in grado di fare.

 

Inverno 2025/2026: cosa indicano gli indici climatici

Arriviamo alla domanda che tutti hanno in testa: e quest’inverno, che succede?

Per l’Inverno 2025/2026 le proiezioni dei modelli climatici indicano una NAO positiva nella prima parte di Dicembre, con possibile transizione verso episodi di NAO negativa tra Gennaio e Febbraio. In mezzo, si intravede la possibilità di un episodio acuto di Stratwarming dopo il 10 Dicembre, con potenziali ripercussioni sul Vortice Polare.

Già solo una NAO e una AO tendenti al negativo, nei mesi centrali dell’Inverno, potrebbero favorire un meteo più tempestoso in Europa, con fasi nevose e gelide nel cuore del continente. E, di riflesso, aumenterebbe il rischio che anche l’Italia venga coinvolta da una o più irruzioni fredde di un certo peso.

La parola chiave, però, resta rischio. Non significa che avremo per forza il gelo siberiano, né che vedremo nevicate diffuse dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Parliamo di probabilità, di condizioni favorevoli, non di certezze scolpite nella pietra.

La ricerca continua a mostrare come piccole variazioni nell’intensità dell’Anticiclone Siberiano e nelle grandi oscillazioni atmosferiche possano trasformarsi in impatti molto marcati su scala regionale. Per questo il monitoraggio continuo di indici come AO, NAO, SHI e dello stato del Vortice Polare è oggi cruciale per stimare le ondate di freddo in Europa e, a cascata, anche in Italia.

Insomma, gli ingredienti per qualche fase invernale “vera”, magari con un’impostazione generale che ricorda – senza copiarla – quella del 2012, non mancano. Non vuol dire che rivedremo la stessa sinottica, gli stessi effetti, le stesse nevicate: parliamo di scenario potenziale, non di un copione già scritto.

Chi leggerà solo il titolo, probabilmente dirà che abbiamo annunciato la nuova Era Glaciale. Ma quella, per ora, possiamo lasciarla alla fantasia e alla lettura frettolosa. Il punto reale è un altro: la porta del gelo siberiano non è affatto chiusa per sempre e tra Dicembre e Febbraio potrebbe anche socchiudersi. Quanto, dove e per quanto tempo, ce lo dirà – come sempre – l’atmosfera, passo dopo passo.

 

Dati e analisi climatiche: ECMWF, NOAA, WMO

 

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