
Quello che sta accadendo sopra le nostre teste, proprio mentre scorrono le feste, ha qualcosa di insolito. E di pericoloso. Perché mai, ci si chiede, chiamare “rischiosa” una fase dominata dall’alta pressione? In fondo, chi non apprezza giornate da 15°C o 20°C, sole tiepido, luce piena. Insomma, un assaggio di primavera fuori stagione. Eppure, dietro questa calma apparente, si nasconde un quadro più complesso – e meno rassicurante.
La situazione
Nel cuore del Mediterraneo si è installata una cupola anticiclonica imponente, una vera bolla calda che solleva le temperature ben oltre le medie di dicembre e sbarra la strada a qualsiasi perturbazione. Le nuvole scorrono ai lati, la pioggia resta lontana, la neve ancora di più. E così l’atmosfera si ferma, quasi trattenendo il fiato.
Nel Centro e nel Sud si vivono giornate limpide, serene, persino invitanti. L’aria, nelle ore centrali, sa di tiepido e di tregua e molti ne approfitteranno per stare all’aperto. Un bel quadro, senza dubbio. Ma basta osservare un po’ meglio per scoprire dove si nascondono le crepe. Perché, come spesso accade, ciò che sembra un regalo del tempo porta con sé anche un conto da pagare.
Clima brutto al nord
L’alta pressione, nei mesi freddi, non garantisce affatto bel tempo ovunque. Anzi, nei bassi strati dell’atmosfera favorisce la stagnazione e crea un terreno perfetto per la formazione di nebbie fitte, estese, tenaci. La Valle Padana lo sta mostrando chiaramente: una coltre lattiginosa che avvolge tutto, riduce la visibilità, rallenta gli spostamenti e trasforma la guida in un esercizio di prudenza estrema. Di notte e al primo mattino, poi, la nebbia diventa quasi un muro. Ci si muove a passi lenti, come chi avanza in un corridoio appena illuminato.
Aria pessima
Alla nebbia si somma l’altra faccia oscura del blocco anticiclonico: la qualità dell’aria. Senza vento, senza piogge, senza ricambio, gli inquinanti restano intrappolati nei bassi strati. Le città più trafficate – da Milano a Torino, da Bologna fino a Roma, Firenze e Napoli – vedranno il solito mix di inversione termica e smog ispessirsi giorno dopo giorno. Nulla di nuovo, forse, ma ogni volta la storia si ripete con le stesse conseguenze: difficoltà respiratorie, disagi per i più fragili, allarmi delle agenzie sanitarie. E non è che al Sud la situazione vada molto meglio: nelle grandi aree urbane l’aria resta comunque stagnante, senza sfoghi.
Le conseguenze nefaste
A rendere tutto più preoccupante è la quasi totale assenza di neve sugli Appennini e la scarsa copertura sulle Alpi. Una scena desolante, certo, ma soprattutto un problema serio per le riserve idriche dei prossimi mesi. È vero, davanti abbiamo ancora tutto l’inverno e poi la primavera, periodi in cui può piovere e nevicare molto. Ma il manto nevoso degli ultimi anni si presenta sempre più disomogeneo, irregolare, sottile. E queste lunghe fasi di alta pressione interrompono bruscamente il ciclo naturale di accumulo, svuotando un serbatoio che dovrebbe invece riempirsi in modo continuo.
Se il blocco dovesse protrarsi anche nei primi mesi del 2026, la situazione diventerebbe ancora più complessa. Perché l’acqua delle montagne non è un dettaglio: è un patrimonio che sostiene fiumi, agricoltura, falde, energia. E quando viene a mancare, lo si scopre sempre troppo tardi.
Crediti
ECMWF, Global Forecast System del NOAA, ICON, AROME, ARPEGE, Copernicus
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