Neve in Italia: la sfida eterna tra gelo artico e siberiano

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Neve in Italia: la sfida eterna tra gelo artico e siberiano

 

Capita quasi ogni inverno – diciamolo pure – di ritrovarsi a scrutare il cielo o le app meteo chiedendosi quale freddo servirà davvero per vedere la neve imbiancare le nostre città. È meglio quello che scende rapido, quasi impetuoso, dal Circolo Polare Artico, o il gelo duro, silenzioso, che rotola lento dalle steppe della Siberia? La domanda torna ciclicamente, puntuale come una tassa, soprattutto dopo irruzioni fredde come quella che ha caratterizzato l’ultima decade di Novembre. In quell’occasione, l’aria artica ha fatto scendere le temperature ben sotto le medie, regalandoci scene già viste eppure, in qualche modo, ogni volta sorprendenti.

Non è un mistero per nessuno, o almeno per chi mastica un po’ di meteorologia, che un’eventuale irruzione continentale cambierebbe del tutto la partita: anomalie termiche molto più marcate, un freddo che morde davvero la pelle e che, in Italia, non arriva certo tutti i giorni. E infatti non è la normalità. È l’eccezione – l’evento che segna un inverno e che finisce negli annali. Ma andiamo con ordine, perché la dinamica atmosferica non è mai così lineare come vorremmo.

 

L’aria artica e il ruolo cruciale dell’umidità

Più spesso, statistiche alla mano, è l’Artico a bussare per primo alle nostre porte. Una visita ricorrente, se così si può dire, che rende anche più probabile la comparsa della neve, seppur con modalità molto specifiche. Non basta però che arrivi del freddo generico: servono gli scambi meridiani, quelle ondulazioni profonde del flusso atmosferico che compaiono quando il Vortice Polare si indebolisce, rallenta la sua corsa e apre una porta verso le nostre latitudini.

C’è poi un dettaglio che fa tutta la differenza del mondo: l’umidità. L’aria artica marittima, partendo dalle latitudini settentrionali e passando sopra le acque relativamente tiepide dell’Oceano Atlantico per poi tuffarsi nel Mediterraneo (spesso attraverso la Porta del Rodano o quella di Carcassonne), si carica di vapore. Raccoglie umidità a sufficienza per costruire peggioramenti seri, strutturati. E quando succede, la neve scende anche a bassa quota, o addirittura in pianura, soprattutto sulle aree più esposte alle correnti da nordovest o ovest.

Pensiamo alla Lombardia occidentale, al Piemonte, all’entroterra della Liguria, ma anche alle coste tirreniche e alla Sardegna in caso di instabilità marcata. Succede spesso, succede così. È un freddo “produttivo”, insomma. Un freddo che porta precipitazioni perché il contrasto con le acque nostrane accende la miccia della ciclogenesi.

 

Il gelo siberiano, un ospite raro e difficile

Poi c’è lui. Il gelo siberiano. Quello vero. Quello che arriva solo quando l’Anticiclone Russo-Siberiano – una bolla di alta pressione termica vastissima – si allunga deciso verso ovest, abbracciando l’Europa orientale e puntando i Balcani. Non accade frequentemente, anzi; in certi cicli climatici si può attendere anni prima di vedere una configurazione simile prendere forma sulle carte di ECMWF o GFS.

E quando arriva, beh, la si riconosce subito. È un’aria pesantissima, densa, incollata al suolo. È aria continentale pellicolare, incapace di raccogliere umidità perché nel suo lungo viaggio attraverso l’Asia e la Russia europea non ha mai visto il mare. Scivola nei bassi strati come una cascata invisibile e silenziosa, e in poche ore fa precipitare le temperature su valori che definire rigidi è un eufemismo.

Ma c’è un rovescio della medaglia. Ed è secco, terribilmente secco. Il cielo si presenta spesso terso, di un azzurro cristallino che quasi ferisce gli occhi, spazzato da venti di grecale o tramontana che tagliano la faccia. Per trasformare questo potenziale gelido in neve serve il Mediterraneo, ancora una volta. L’interazione è necessaria.

A volte basta la risposta delle regioni adriatiche, dove le correnti da nordest, passando sopra il mare, si caricano di umidità e la scaricano sotto forma di bufere sulle coste sopravvento – il famoso ASE (Adriatic Snow Effect). Altre volte sono i minimi ciclonici che si formano sul Tirreno meridionale, sullo Ionio o verso il Mar Egeo a richiamare quest’aria gelida e a organizzare nevicate diffuse, che in questi casi possono raggiungere anche le pianure del Sud e le coste, dove solitamente la neve è un miraggio.

 

Una risposta complessa per due scenari diversi

Insomma, la conclusione è meno scontata di quanto sembri guardando una semplice app. È certamente più semplice vedere nevicare con il freddo artico, ma mediamente accade a quote più alte o nelle aree di stau alpino e appenninico. Col gelo siberiano, invece, il meccanismo è raro, più complesso, farraginoso. Ma quando si incastra nel modo giusto – quando gli ingranaggi dell’atmosfera girano all’unisono – porta la neve fin sulle pianure, talvolta persino lungo le coste più impensabili. È una neve diversa, polverosa, quasi sospesa nell’aria, che resta impressa nella memoria collettiva.

 

L’importanza del “Cuscinetto Freddo”

C’è un terzo attore in questa commedia meteorologica, che merita una menzione d’onore. Spesso, le nevicate più abbondanti in pianura, specialmente al Nord Italia, non sono figlie dirette né dell’una né dell’altra configurazione presa singolarmente, ma della loro successione.

Immaginiamo la scena: prima arriva l’aria fredda continentale (o artica continentalizzata), che entra nella Val Padana e vi rimane intrappolata, protetta dalla barriera delle Alpi e degli Appennini. Si forma quello che in gergo chiamiamo “Cuscinetto Freddo”. L’aria lì ristagna, le temperature scendono sotto zero e il suolo gela. A quel punto, se arriva una perturbazione atlantica più mite e umida che scorre sopra questo lago di aria gelida, ecco la magia: la “neve da scorrimento”.

È la nevicata classica di città come Milano, Torino, Bologna. Senza quel freddo precedente che ha preparato il terreno, la neve si trasformerebbe in pioggia nel giro di poche ore. Diciamolo: è un equilibrio precario, che il Riscaldamento Globale sta rendendo sempre più difficile da mantenere, erodendo la tenuta del freddo nei bassi strati.

 

Il Vortice Polare e le prospettive future

Guardando al futuro, o anche solo al prossimo Gennaio o Febbraio, molto dipenderà dalla salute del Vortice Polare. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un Vortice spesso troppo compatto, che ha tenuto il gelo confinato alle alte latitudini, lasciando l’Europa sotto un flusso zonale mite e noioso. Ma basta un improvviso riscaldamento in stratosfera – il cosiddetto Stratwarming – per mandare in crisi il sistema e costringere il gelo a scendere verso sud.

Che sia artico o siberiano, l’inverno ha le sue logiche che sfuggono alle nostre previsioni a lungo termine. Possiamo scrutare gli indici teleconnettivi come la NAO o l’AO, cercare segnali nelle anomalie delle temperature oceaniche, ma alla fine l’atmosfera conserva sempre un margine di caos imprevedibile. E forse, in fondo, è proprio questo il bello.

 

Credits: Approfondimenti climatici e dati su circolazione atmosferica: NOAA Climate.gov Analisi stratosferiche e previsioni a medio termine: ECMWF Publications Monitoraggio indici teleconnettivi: CPC – NCEP / National Weather Service

 

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