Tra freddo e leggende meteo: i miti sul Buran in Italia

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Tra freddo e leggende meteo: i miti sul Buran in Italia

Buran o Burian. Il termine gira spesso, forse troppo. Nei titoli, sui social, nei commenti sotto alle mappe meteo. Ma non sempre con precisione, anzi. Talvolta in modo quasi fuorviante, diciamolo.

Il Buran non nasce sopra l’Europa né tantomeno nel Mediterraneo. È un vento gelido che prende forma nelle sterminate steppe della Siberia, figlio diretto dell’Anticiclone russo-siberiano di natura termica. Un colosso freddo, compatto, pesante. Di quelli che restano inchiodati per settimane a migliaia di chilometri da noi.

E infatti, per la maggior parte del tempo, lì rimane.

 

Dove nasce e perché può arrivare fin qui

Solo in circostanze davvero rare quella massa d’aria riesce a mettersi in movimento verso ovest. Serve una configurazione molto specifica, quasi chirurgica. Il cosiddetto Ponte di Wejkoff – struttura barica che collega l’anticiclone russo con quello scandinavo – è il passaggio chiave. Senza quello, il Buran resta confinato a est.

Quando invece il ponte si forma, ecco che una parte dell’aria gelida può scivolare verso l’Europa centro-orientale e, molto attenuata, entrare anche in Italia attraverso la Porta della Bora. Non è un percorso diretto, né scontato. Anzi.

Vale la pena ribadirlo: non è affatto detto che colpisca il nostro Paese. Le probabilità sono basse, bassissime. Però c’è un dato che la climatologia italiana non dimentica. Tutte le ondate di gelo più severe della nostra storia sono nate proprio da questo schema barico.

Coincidenze? No.

 

Gli effetti quando il Buran fa davvero sul serio

Quando il Buran riesce a influenzare l’Italia, il quadro cambia di colpo. Il freddo è pellicolare, pesante, aderisce al suolo. Le temperature crollano rapidamente e scendono ben sotto lo zero, soprattutto nei bassi strati. È lì che si registrano le anomalie più marcate.

Lo scenario tipico è piuttosto chiaro. Nevicate iniziali lungo le coste adriatiche e su tutta la dorsale appenninica, spinte dai venti orientali. La Pianura Padana, invece, resta sottovento. Apparentemente penalizzata.

Ma non è necessariamente un male.

In quelle condizioni può formarsi il famoso cuscinetto gelido, uno strato d’aria fredda che ristagna al suolo per giorni. Se successivamente arriva un richiamo umido dall’oceano Atlantico, la neve diventa possibile anche in pianura. È lo schema classico delle grandi nevicate storiche italiane. Tutto torna.

 

Capiterà ancora?

Siamo in piena epoca di Riscaldamento Globale, è vero. Ma questo non significa che eventi estremi di freddo siano scomparsi. Piuttosto, sono diventati più rari e complessi da inquadrare.

Un conto è avere la configurazione meteo teoricamente favorevole. Un altro è che il nocciolo gelido colpisca esattamente il cuore del nostro Paese. Non era semplice nemmeno decenni fa. Oggi lo è ancora meno, con un clima profondamente cambiato.

Detto questo, escluderlo del tutto sarebbe un errore. La meteorologia non funziona per assoluti. Se dovessero emergere segnali concreti, sarà nostro compito raccontarli. Senza forzature. Senza allarmismi.

 

Gennaio 1985, il caso simbolo

Gennaio 1985 resta l’esempio più citato. Un’ondata di gelo memorabile, con nevicate di proporzioni storiche. Tutto ebbe origine da un’intensa avvezione di aria estremamente fredda, innescata proprio dal Ponte di Wejkoff e dal successivo afflusso gelido attraverso la Porta della Bora.

Un evento raro. Ma reale. E per questo ancora oggi studiato, analizzato, discusso.

Perché il Buran, quando arriva davvero, non si dimentica facilmente.

 

Crediti e fonti:
Dati e analisi supportati da ECMWF, NOAA – Global Forecast System, Copernicus Climate Change Service, ICON, AROME e ARPEGE.

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